Il mito quando nasce, sviluppo e caratteristiche
Le origini del mito non hanno una data certa, ma seguono l’evolversi dello stato di coscienza dell’uomo. Secondo Joseph Campbell la storia del mito e dell’umanità si suddivide in tre principali periodi.
Il primo, quello più primitivo che si estende dalla nascita della coscienza, fino alla nascita della scrittura intorno al 3500 a.C. Il secondo, il periodo intermedio, va dal 3500 a.C. fino al Rinascimento mentre il terzo, dal Rinascimento in poi.
In quest’ultimo periodo, associabile all’età moderna, lo sviluppo del pensiero scientifico, della meccanizzazione e dell’industrializzazione ha dato origine a miti più tecnologici.
Noi però ci soffermeremo sui primi due periodi relativi alle civiltà più antiche.
Il Mito nell’antichità
Primo periodo
L’uomo primitivo viveva in forte connessione con la natura, per l’uomo non c’era molta differenza tra un albero, un animale e un uomo. La vita e la morte facevano parte di un ordine naturale.
I riti sacrificali erano necessari per garantire la vita. Tra vita e morte non c’era una netta separazione, l’una era il continuo dell’altra.
lo stato di coscienza non considerava la vita da un punto di vista etico morale come potremmo considerarlo noi oggi, ma il rispetto della vita era vivendola in tutta la sua crudezza, l’uomo primitivo viveva dominato da uno stato di coscienza istintuale e pulsionale che oggi chiameremmo inconscio.
Per i popoli di questo periodo, ogni cosa facente parte della realtà aveva un’anima ed era parte di un tutto regolato da cicli di nascita e morte. Tutti i fenomeni erano spiegati come volere di potenze esterne divine che assumevano caratteristiche antropomorfe. Attraverso i riti l’uomo primitivo si connetteva con le energie della natura, spesso i riti erano cruenti e terrificanti che prevedevano il sacrificio di fanciulli, i cui corpi sacrificati venivano mangiati perché così era il modo per garantire il ritorno della vita.
I riti, come dice Campbell, erano una iniziale forma grezza del mito, erano la messa in scena di un mito
Con il crescere della coscienza i riti furono sublimati e da atti fisici diventarono atti spirituali e simbolici. Nei riti sacrificali, il cibo di cui si fa esperienza non è più il cibo del corpo ma è il cibo dello spirito, e di questo ne abbiamo un’ampia conoscenza nella religione cristiana con l’atto eucaristico.
Secondo periodo
Nel 3500 a.C. con la nascita della scrittura, dell’astronomia e della matematica ci fu un cambiamento significativo nella visione dell’universo e di conseguenza nel percepire le divinità. Furono i Sumeri a scoprire il moto dei pianeti e con l’osservazione dei loro movimenti ciclici si iniziò a credere nell’esistenza di un ordine cosmico. Così al Dio antropomorfo si venne a sostituire l’idea di una potenza invisibile detentrice di questo ordine cosmico.
Si sviluppò così una concezione circolare del tempo, l’eterno ritorno, e attraverso cerimonie e riti, le civiltà attualizzavano questo concetto riportandolo nella società e nell’individuo.
Attraverso immagini mitologiche i miti creavano un collegamento tra i cicli cosmici e l’esperienza di vita quotidiana individuale e sociale. Tutto appariva come espressione di una stessa dimensione insondabile, tutto era collegato e tutto partecipava allo stesso mistero.
In questo modo i sistemi mitologici diventarono una traduzione simbolica delle leggi cosmiche e per mezzo delle immagini mitiche l’ordine cosmico venne portato sia nella civiltà che nel mondo interiore dell’individuo.
In tal modo il macrocosmo dell’universo e il microcosmo individuale e sociale risultavano tutti integrati in una stessa unità. Il mito mostrava così un’energia cosmica, qualcosa di indescrivibile che risiedeva nell’universo così come dentro l’uomo.
Abbiamo così un aspetto cosmologico, sociale e individuale, tutti partecipi dello stesso mistero, che caratterizzava i miti di questo periodo.
I miti oggi: cosa ne rimane dei grandi miti e la loro funzione
Per le civiltà antiche abbiamo visto che il mito non costituiva una semplice narrazione fantastica ma era a tutti gli effetti una realtà realmente vissuta. Oggi con la visione della psicologia del profondo possiamo dire che i mitologemi erano il frutto della proiezione di contenuti inconsci della mente umana, non fatti di rilevanza storica.
Sono a tutti gli effetti, narrazioni archetipiche inconsce nelle cui trame troviamo l’impronta di processi mentali che le hanno generate.
Scrive Jung:
“Ma poiché il mito non è altro che una proiezione proveniente dall’inconscio e non un’invenzione consapevole, allora è comprensibile non solo il fatto che ci imbattiamo dovunque negli stessi motivi mitici, ma anche che il mito rappresenti tipici fenomeni psichici.” (Opere VIII La dinamica dell’inconscio)
Il fatto che i miti non abbiano trovato una rilevanza storica, ma siano frutto di processi psichici, non li priva però del loro inestimabile valore simbolico. Nel corso della storia l’aspetto cosmologico e sociale del mito caratteristico del mondo mitologico del secondo periodo, ha avuto una perdita, ma i temi riguardo l’individuo sono rimasti invariati e tutt’ora attuali.
Gli aspetti psicologici che caratterizzano le diverse fasi di vita dell’individuo sembrano in effetti non avere tempo e si ripropongono nei miti come modelli comportamentali che traducono esperienze umane di carattere universale ed eterno, per questa ragione le immagini mitologiche continuano a risuonare in noi.
Nei miti pertanto possiamo ritrovare noi stessi e le nostre esperienze già vissute dall’intero genere umano, il mito ci apre la porta a sentieri già battuti, sta a noi entrare e seguire quella via percorsa milioni di volte da chi ci ha preceduto.
Il linguaggio simbolico del mito ha la funzione di rimetterci in contatto con la nostra parte più profonda.
Scrive Campbell in percorsi di felicità:
“Questi originano dalla psiche; parlano dello spirito e allo spirito. Sono i veicoli di comunicazione tra le profondità più profonde della nostra vita spirituale e lo strato relativamente sottile della coscienza, con cui gestiamo la nostra vita diurna.”
Il problema della nostra società occidentale, come evidenziato più volte da Campbell, è che ci siamo privati dei grandi miti perché abbiamo tentato di interpretarli come se si riferissero a fatti storici. L’aver dato troppa enfasi a questo aspetto ha portato a svalutare i miti come mere rappresentazioni fantastiche non riconoscendo in essi il loro significato più profondo. Ci siamo così privati di un sistema simbolico quale fonte vivificante da cui poter attingere.
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Bibliografia:
- Joseph Campbell “Miti per vivere”
- Joseph Campbell “Percorsi di felicità”